Da quando l’architettura informativa è passata di moda?

Oggi è uno di quei giorni in cui mi sento… “vintage”, diciamo così…
In questo periodo mi capita di lavorare con diverse agenzie esterne, alcune per la parte di UX e UI di nuovi servizi, altri per la parte di sviluppo, altre ancora che devono semplicemente declinare dei template fatti e finiti inserendo contenuti in lingua.
E proprio quest’ultima esperienza è quella che mi ha fatto sorgere grosse perplessità.

Ho visto un processo al contrario: la creazione dei contenuti ha tenuto decisamente in poco conto la struttura precedentemente condivisa del sito. Per certi versi l’ha addirittura stravolta senza però proporre un disegno alternativo.

La mia domanda è: com’è possibile pensare di sviluppare dei contenuti senza ragionare sull’architettura informativa del sito?
Per me questo approccio non ha alcun senso.

L’architettura dell’informazione riguarda il modo in cui informazioni, documenti, beni e servizi sono organizzati all’interno degli spazi (digitali e non) per favorire l’orientamento dell’utente, la reperibilità dell’informazione stessa, la comprensibilità e l’usabilità.

L’importanza di organizzare lo spazio informativo

Quando ho iniziato a lavorare in ambito digital – ormai decenni fa – non c’erano ancora tutte le metodologie e gli approcci strutturati che ci sono oggi. Il mio mentore era un architetto con una grande passione per il mondo digitale e l’attitudine da ricercatore universitario quale in effetti era.

Correva l’anno 2000 e ciò che facevamo ai tempi in ambito digitale era il corrispettivo di un lavoro pionieristico. Architetture informative, interaction design, progettazione di interfacce erano termini inusuali, attività che portavamo avanti sperimentando con gli strumenti e le modalità.
Ma c’era già un punto fermo: tutto parte dalla progettazione dello spazio nel suo insieme. Prima di entrare nei dettagli bisogna avere chiaro il disegno nel suo complesso.

Una volta che avete quello tutti i pezzi vanno poi ad incastrarsi come in un puzzle.
Si parte dalle fondamenta nella costruzione, non dalla decorazione d’interni.
La struttura d’insieme prima dei singoli ambienti.
La mappa del sito prima della UX e della UI, non il contrario.

Il percorso della progettazione

Questi insegnamenti a distanza di anni sono tuttora validi; costituiscono basi solide per la progettazione di qualsiasi tipo di servizio.

E ancora oggi procedo così: la prima cosa che faccio se devo riprogettare un servizio esistente è sempre andare a mapparlo. Sia esso un sito o un’applicazione più complessa non posso ragionare chiaramente se non sono consapevole di com’è articolato.

Stessa cosa mi capita quando si tratta di progettare un prodotto ex-novo. Subito dopo la fase di discovery e la raccolta dati cominciamo ad abbozzare la struttura.
Non è detto che sia “buona la prima”; anche su questo artefatto potrà essere necessario iterare più volte.
Personalmente mi piace partire da un’idea sulla base degli insight raccolti, schizzare un disegno, confrontarmi con il team di sviluppo e gli stakeholder per raccogliere vari punti di vista e arrivare alla fine ad una mappa che farà da guida per tutti i passaggi successivi.
E’ con questa mentalità che approccio ancora a tutti i lavori.

Qui trovate un paio di esempi di ciò che intendo per architettura informativa.
Il primo è uno schema della struttura di una rivista scientifica.

Architettura informativa di una rivista scientifica

Il secondo una mappatura delle funzionalità di un Back-Office.

Il valore della mappatura

Per quanto mi riguarda il tempo impiegato in questa analisi è ben speso perché a partire da questi schemi posso progettare con efficacia e controllo cosa andrò a cambiare, come e che tipo di effetti mi aspetto di produrre sulle metriche del servizio.

Ecco perché sono spiazzata quando mi capita di imbattermi in proposte senza capo né coda… non riesco ad orientarmi! Né a tacere a dire il vero…

Si dice “se non lo sai spiegare in maniera semplice significa che non l’hai capito abbastanza” ma parafrasando posso dire “se non sei in grado di tradurre la tua idea in uno schema, forse hai ancora della confusione in testa”.

Mi trovo davanti pagine e pagine di testi con una sequela di keyword dove però non è chiara la relazione tra i contenuti, né tantomeno come dovranno essere calati su una struttura esistente. Oppure wireframe incoerenti che vengono costruiti senza una solida mappa sottostante.

Quindi vi chiedo: davvero l’architettura informativa è passata di moda? E se conoscete delle valide alternative vi va di condividerle? Io senza un’organizzazione logica e semantica dell’informazione nello spazio digitale navigo nel buio.

3 consigli per esercitare meglio la tua product ownership

Conoscete Robbin Schuurman? E’ un Agile Coach e Scrum Master Trainer di origini olandesi che ha alle spalle un’esperienza di Product Owner e prima ancora di Project Manager.
E’ anche un prolifico autore di articoli e post sul suo blog, su Medium e Scrum.org.
In questi giorni ascoltavo una puntata di Product Owner Podcast di cui è stato ospite per parlare delle responsabilità del PO e di come dire no.

Abbiamo già parlato in passato di questa responsabilità del PO.
Schuurman ribadisce che dire no è una delle cose più difficili che il product owner deve fare e allo stesso tempo uno dei modi più efficaci per creare valore.
Proprio così! Creare valore attraverso la negazione. Perché di 10 idee o richieste che arrivano sul nostro tavolo statisticamente una sola è veramente rilevante per le nostre personas primarie mentre le altre 9 – che magari sono comunque buone idee – non lo sono.
Quindi dire no alla maggior parte delle richieste ha la finalità di preservare il massimo valore del prodotto che state gestendo.

Speriamo di poter leggere presto qualche chicca nel prossimo libro di Schuurman in uscita “50 Shades of No”; nel frattempo lui ha suggerito 2 modi immediatamente spendibili per dire no e condiviso alcuni consigli per esercitare al meglio la product ownership che trovo pratiche e centrate. Ve le riassumo.

Dire no in modo gentile e perentorio

Sostiene il coach: “Dire no è difficile per moltissimi Product Owner. È difficile perché ci sono tantissime persone che chiedono o esigono determinate funzionalità. Massimizzare il valore è una tua responsabilità e lo fai mediante lo stakeholder management e dicendo no”.

Ecco due esempi efficaci per un NO “chiaro e tondo”:

  • non implementiamo la funzionalità X perché non è coerente con la product vision
    Questo è un no molto potente, ma presuppone che abbiate formulato una product vision e che sia stata anche condivisa con gli stakeholder
  • non lavoreremo sul requisito X perché non è di valore per i clienti e gli utenti
    Anche questa affermazione è perentoria e contiene a sua volta un presupposto: che abbiate preso il tempo di validare con questi interlocutori cosa sia realmente di valore.

In sostanza il presupposto per poter dire no con credibilità è fare bene l’attività di stakeholder management. Attendiamo “50 Shades of No” per prendere altri spunti…

Non tutti gli stakeholder sono ugualmente importanti

“Chi sono i tuoi stakeholder e con chi spendi il tuo tempo?” ci chiede Chris.
Nella sua esperienza ha incontrato molti product owner che trascorrono tanto tempo a gestire gli stakeholder (e questa di per sé è una cosa positiva!) senza tuttavia fare dei distinguo in termini di importanza o dedicando troppa energia a quelli meno importanti.
Gli stakeholder meno importanti sono solitamente quelli con poco potere e poco interesse per il prodotto finale; gruppi di persone che dovrebbero essere tenuti d’occhio saltuariamente.

“Nelle pratiche quotidiane molti PO sembrano dare ugualmente importanza a tutti. Mi dispiace… questo non è vero! Non tutte le parti interessate sono ugualmente importanti! Alcuni hanno un alto interesse per il prodotto, altri un interesse basso… alcuni hanno molto potere, altri no… alcuni collaborano con voi nella creazione, altri sono solo interessati all’impatto che il vostro prodotto avrà sul loro dipartimento e sulle persone”.

E’ fondamentale secondo il coach essere ben consapevoli di quali sono gli stakeholder più importanti e meno importanti. Robbin Schuurman ci suggerisce di creare una mappa degli stakeholder così da organizzare il nostro tempo con le parti interessate in modo più efficace, efficiente e intelligente (è un tema che abbiamo toccato in relazione agli stakeholder).

Esercitati ad agire da owner

Non è inusuale all’inizio della carriera come PO trovarsi in situazioni in cui non si ha alcun mandato, alcun potere decisionale o alcuna libertà. E’ capitato a tutti noi e in breve tempo abbiamo realizzato che dovevamo rimboccarci le maniche.
Non è la Scrum Guide o qualche guru dell’Agile a venirci in aiuto quando si tratta di guadagnare autorevolezza sul campo di gioco.

Quello che potete cominciare a fare (in qualsiasi momento) è comportavi da “owner”, da proprietari del prodotto.
Non avete bisogno di chiedere il permesso di sviluppare una nuova funzionalità o dedicare del tempo alla risoluzione di bug o alla riduzione del debito tecnico. Schuurman ci incita a comportarci da proprietari e non da proxy.

“Devi smettere di fare lo scriba e iniziare a comportarti da owner! Il modo in cui ti presenti agli stakeholder, il modo in cui presenti il tuo prodotto e il modo in cui agisci (parli, ti comporti, ti presenti, ecc.) determinano il mandato che ottieni! Se inizi ad agire come un vero product owner, ad assumerti la responsabilità, a formulare un piano dimostrando che ti prendi cura del prodotto e del tuo team, questo ti aiuterà ad aumentare il tuo mandato”.

Questo è un punto cardine sottolineato dall’autore: tra le responsabilità del PO c’è creare un piano, costruire il prodotto e renderlo di successo (in questo ordine!). Se non ti sei preso il tempo di elaborare un tuo piano qualcun altro te ne affibbierà uno. Del resto la delivery ha bisogno di una tabella di marcia, una previsione, una guida per un arco di tempo che va dai 3 ai 6 mesi, senza che diventi “il santo graal” né tantomeno sia scolpito nella pietra.
Piano e vision devono precedere la creazione del product backlog.

Smetti di fare il piccione viaggiatore…

Schuurman riporta la sua esperienza di coaching: “Quello che vediamo fare abbastanza spesso dai Product Owner è che iniziano a fungere da proxy, un gateway, l’unico punto di ingresso, verso il team di sviluppo.
Il team non sono autorizzati a parlare con gli stakeholder, i clienti e gli utenti; tutte le comunicazioni in questi team passano attraverso il Product Owner
”.

Esercitare il controllo non significa fare da tramite tra gli stakeholder e il team.
Questa mala pratica ha un costo enorme in termini di tempo per il PO oltre a rivelarsi inefficace e diseducativa per lo Scrum team.

Un product owner consapevole del proprio ruolo supporta il più possibile la comunicazione diretta tra stakeholder, clienti, utenti, business, sales e sviluppo.
In questo modo il team recepisce direttamente i feedback sul prodotto, acquisisce comprensione degli utenti e del business.
Per quanto il mandato del PO sia ampio e versatile non c’è bisogno di affrontare tutti i problemi da solo; si può fare leva sulla squadra nel momento in cui ha compreso la visione di prodotto, la direzione in cui vuoi andare e quali sono i prossimi passi da compiere.

Tra i valori agili ci sono l’autonomia e il coraggio: non dimentichiamo di lasciare spazio al team per esercitarli! Una volta che il PO ha condiviso la vision di prodotto e ha fornito un obiettivo chiaro per lo sprint , lascia che gli sviluppatori si organizzino a riguardo e che prendano tutti i contatti che servono per costruire al meglio le funzionalità richieste, compresa la comunicazione diretta con gli stakeholder.
E se proprio qualcosa va storto, c’è la Sprint Retrospective con il team per scoprire cosa non ha funzionato e come migliorare in futuro.

Valore per i clienti e impatto commerciale del prodotto

Product owner, ti sei mai chiesto qual è l’impatto commerciale del tuo prodotto?

C’è una citazione di Marty Cagan che ultimamente ritrovo spesso nelle mie letture online:

“lo scopo dei team di prodotto è servire i clienti creando prodotti che i clienti amano, lavorando tuttavia per l’azienda”

Cosa intende dire esattamente Cagan con questa frase?
Vuole sottolineare il fatto che come responsabili del prodotto non ci muoviamo all’interno di un silos; siamo focalizzati sul valore per il cliente finale ma abbiamo la nostra parte di responsabilità sull’impatto commerciale del prodotto e sul conto economico dell’azienda.

Mentre riflettevo sulle implicazioni di questo messaggio mi sono imbattuta su Mind The Product in un intervento del Chief Product Officer di Talabat Yi-Wei Ang – dal titolo “Driving commercial impact for product teams”.
L’ho trovato molto interessante e ve lo riassumo qui di seguito.
E’ proprio incentrato sul fatto che la figura del product practitioner si trova oggi di fronte all’ennesima evoluzione.

Perché essere customer-obsessed non basta…

Come figure di prodotto – product owner, product manager, designer ed esperti UX – siamo spesso sbilanciati verso la prima parte dell’affermazione di Cagan: amiamo creare prodotti amati dai clienti.

Noi siamo quelli che nel giro degli ultimi 10 anni sono passati – per chi lavora in questo ambito da più tempo – dalle pianificazioni annuali di sviluppo dei prodotti e da lunghi documenti di requisiti redatti upfront ad essere i customer-advocates, la voce del cliente all’interno dell’azienda.

Diciamoci la verità: abbiamo un bias verso la creazione di prodotti che abbiano valore per i nostri clienti ma se spendiamo il 90% del nostro tempo su questo aspetto nei processi di discovery e delivery, quanto ci dedichiamo al successo commerciale?

Secondo Yi-Wei Ang è giunta l’ora di ribilanciare i nostri sforzi perché il ruolo del prodotto sta cambiando. Ciò che ci è richiesto oggi è di continuare a creare prodotti amati dai clienti ma che allo stesso tempo siano in grado di far crescere il business, che abbiano un impatto tangibile sulla bottom line (proprio quell’ultima riga del rendiconto finanziario che mostra l’utile o la perdita netti di un’azienda).

E’ ora di abbattere un altro silos…

A pensarci bene questo aspetto è spesso alla base della frizione o dell’incomprensione che si crea tra il team sales e quello di prodotto.

Vi è mai capitata questa situazione?
Il team sales sollecita il prodotto a sviluppare certe funzionalità richieste espressamente dai clienti con lo scopo, ad esempio, di diminuire il churn o tasso di abbandono. Il team di prodotto crea delle soluzioni senza un adeguato lavoro di discovery sul problema e alla fine le nuove feature rimangono inutilizzate senza raggiungere lo scopo iniziale.
E’ una dinamica alquanto frequente.
Evidentemente qualcosa è andato storto nella relazione tra i due.

Se vogliamo raddrizzare questa situazione il CPO di Talabat ci invita a farci carico dei risultati di business oltre che degli outcome di prodotto.
Lavorando a stretto contatto con il team business possiamo massimizzare i risultati per l’azienda nel senso più ampio.

Questo pensiero mi trova assolutamente d’accordo.
Ho sperimentato più volte che per essere davvero efficace nel mio lavoro con gli stakeholder devo essere in grado di mostrare al business l’impatto che sono in grado di produrre sulla bottom-line.
Il mio amministratore delegato, per quanto attento ai bisogni della clientela e consapevole delle metriche di prodotto, finisce comunque per misurare ogni risultato in termini di ricavi e riduzione dei costi. Non c’è niente di male, è il suo focus principale in fin dei conti.

Quantificare l’impatto commerciale del prodotto

Le vendite non sono altro rispetto al prodotto; il prodotto non serve il business, il prodotto è il business.
Se pensate che il prezzo, il costo di acquisizione dei nuovi clienti e il lifetime value siano aspetti che vi riguardano solo marginalmente come product owner state sbagliando strada e rischiate di perdere la migliore occasione per dare rilevanza al vostro ruolo in azienda.

Le decisioni business e di prodotto sono per lo più profondamente intrecciate.
Ang scherza sul fatto che anche se siamo diventati bravissimi ad utilizzare il business model canvas di Osterwalder ci sono alcuni aspetti di questo template che tendiamo con maggior frequenza a tralasciare.
Siamo super-concentrati sulla value proposition, le attività e le risorse chiave ma non approfondiamo altrettanto il prezzo, i canali utilizzati per il go-to-market, la struttura dei costi e delle revenue.

Quindi stiamo davvero dicendo che il Product Owner deve diventare anche un esperto degli aspetti finanziari del prodotto? Dobbiamo andare a coprire l’ennesimo ambito nel nostro ruolo?
La risposta è – come nelle ricette di cucina – “quanto basta”.
Dobbiamo conoscere e comprendere questi aspetti quanto basta per prendere le giuste decisioni.
La buona notizia è che non è necessario fare tutto da soli…

Co-creare con il business

Come possiamo portare l’organizzazione di business e quella di prodotto più vicine in modo da rafforzarle entrambe?
Il suggerimento che da Ang è semplice ed efficace: impariamo a co-creare con il business.

I product owner sono ormai abituati da tempo a considerare la relazione con i designer e con gli sviluppatori la chiave dell’attività di progettazione e sviluppo prodotto.
E’ una relazione che abbiamo creato all’interno dei framework agili e che oggi non mettiamo in discussione perché ne conosciamo il valore.

L’invito che ci viene fatto adesso è di estendere questa relazione di fiducia introducendo nel trio un quarto componente: il business.
Il business partner a quel punto si immerge con noi nella discovery, nella delivery e nella validazione.
L’approccio sperimentale che portiamo nella realizzazione del prodotto non si limita più alla prototipazione, ai test di usabilità o agli A/B test, ma si estende anche a validare le assunzioni di business sul pricing, i segmenti di clientela, le strategie go-to-market e molto altro.

Conoscere l’impatto economico del prodotto

In questa evoluzione della figura di prodotto Ang ci suggerisce di partire da una serie di domande a cui dare risposta:

  • Come fa i soldi il nostro prodotto?
  • Quali sono i costi associati alla linea di prodotto?
  • Quanto costa acquisire nuovi clienti?
  • Quanto costa far funzionare l’intera catena del valore?
  • Quali sono le assunzioni che il business sta facendo?

Quando diventiamo consapevoli degli economic drivers e dell’intero processo che va dall’acquisizione del cliente alle revenue la nostra capacità di influenzare l’evoluzione del prodotto e di creare storie potenti intorno al suo perché si fa esponenziale.

Nel mio caso so che questo passaggio non è stato facile da digerire; ho fatto resistenza per più tempo di quanto avrei dovuto.
Pensavo che essere misurata nel mio ruolo di responsabile di prodotto su metriche di business non fosse del tutto appropriato perché non sono aspetti che controllo direttamente; ho capito che questa è una visione parziale.
In realtà ho scoperto che l’essere legata proprio a obiettivi di business mi da la possibilità di esercitare grande influenza su quelle metriche e di dialogare con il management al livello in cui vengono prese le decisioni.

Quindi product owner non temere di affrontare nel tuo percorso l’ennesimo viaggio di scoperta. Entra nelle dinamiche del P&L; fatti aiutare dalla tua controparte business ed esplorate insieme come poter creare un impatto commerciale del prodotto senza precedenti.