I migliori libri per Product Owner: Start with Why

Faccio subito una premessa: io adoro Simon Sinek! Mi piace moltissimo tutto quello che fa, scrive e racconta quindi può darsi che questo post vi appaia un po’ schierato ma lo dichiaro dall’inizio ;)

Simon è un autore di una serie di libri di successo in tema di leadership nonché uno speaker di livello internazionale. Qui lo potete vedere in un paio di apparizioni ai TED Talk.

“Start with Why: How Great Leaders Inspire Everyone to Take Action” è il suo primo libro (oggi ne ha ben 5 all’attivo) pubblicato nel 2009. E’ un volume a cui sono molto legata, uno di quelli sottolineati fitto fitto. Lo trovo tutt’oggi un saggio illuminante e ho deciso di sintetizzarlo qui perché – come direbbe Sinek – condividiamo gli stessi valori.

Start with Why – Simon Sinek

Quali valori? Quelli racchiusi nella citazione che vi accoglie sul suo sito:

“Immaginiamo un mondo in cui la stragrande maggioranza delle persone si sveglia ogni giorno ispirata, si sente al sicuro ovunque si trovi e finisce la giornata soddisfatta dal lavoro che svolge”

A me sembra un’ottima prospettiva da cui partire…

Manipolare o ispirare

La maggior parte delle aziende non sa spiegare perché i loro clienti sono loro clienti.
La maggior parte delle aziende prende decisioni sulla base di assunzioni incomplete o sbagliate su ciò che guida il loro business.

“Ci sono solo due modi di influenzare il comportamento umano: manipolando o ispirando”

Quando le aziende non sanno perché i loro clienti sono loro clienti tendono a fare leva su un numero enorme di manipolazioni per ottenere ciò di cui hanno bisogno… perché la manipolazione funziona.
Ma di quali manipolazioni stiamo parlando esattamente? Eccovi qualche esempio: prezzi inferiori, promozioni (spesso non sostenibili nel tempo), paura (la cosiddetta fomo), aspirazioni, pressione dei pari, novità, ecc.

Il punto è che nessuna manipolazione crea clienti fedeli; col tempo sono espedienti che costano sempre di più e ciò che si ottiene è solo un effetto di breve periodo.
Se avete a che fare con un mercato “a bassa fedeltà” (penso al turismo ad esempio), la tecnica del bastone e della carota (ovvero le manipolazioni) sono il modo più veloce per ottenere il comportamento desiderato, ma quando diventano la norma le organizzazioni diventano via via sempre più deboli.

Il 2008 ed il crollo della Lehman Brothers sono un esempio di come un’assunzione imperfetta sia stata portata avanti per troppo tempo… a lungo termine il collasso è l’unica logica conclusione quando le manipolazioni sono lo standard.
Esiste però un’alternativa alla manipolazione, l’ispirazione…

Ispirare con il Golden Circle

Sinek invita le aziende e gli individui ad ispirare azioni invece di manipolare persone.
Sì, ma come? Utilizzando il Golden Circle, ovvero la sequenza WHY, HOW, WHAT.

Scrive l’autore di Start with Why: “ogni azienda sul pianeta conosce cosa fa (what), alcune persone e aziende sanno come fanno cosa fanno (how), pochissime aziende e persone sono in grado di articolare perché fanno quello che fanno (why).”
Vi ricordate? Abbiamo già toccato in passato il tema “purpose” quando abbiamo parlato della differenza tra output e outcome e della visione strategica.

Ma perché semplicemente il fatto di invertire questa sequenza ottiene un risultato così differente? Perché le persone non comprano cosa fai, ma perché lo fai.
Le aziende cercano di venderci cosa fanno, noi compriamo il perché.
Cosa fanno è un fattore esterno, perché lo fanno no.
E questa è la ragione per cui percepiamo una comunicazione di questo tipo – che va dall’interno verso l’esterno – come autentica.

Solo le aziende che agiscono come commodities si svegliano la mattina pensando a come differenziarsi.
Le aziende con un chiaro senso del perché non lo fanno mai; non devono convincere nessuno del loro valore. Semplicemente attraggono persone con il loro stesso credo solo per il fatto che il loro perché è chiaro.

Se ci pensate è intuitivo: ci fidiamo delle persone che condividono i nostri valori; siamo attirati dai leader e dalle organizzazioni che sono brave a comunicare in cosa credono.

The Golden Circle

Quando parliamo dall’interno all’esterno del Golden circle, parliamo direttamente alla parte del nostro cervello responsabile delle decisioni, al sistema limbico che controlla anche le nostre emozioni.

Se un’azienda non ha un chiaro senso del perché non è possibile riconoscersi in essa; l’unica cosa percepibile è il cosa quell’azienda fa.
WHY è un credo, HOW sono le azioni che fai per realizzare ciò in cui credi, WHAT è il risultato di quelle azioni.

“E’ una falsa assunzione che la differenziazione avviene a livello di how e what, accade a livello di why e how. La loyalty viene dalla capacità di ispirare.”

Far emergere la fiducia

Non si può convincere qualcuno del proprio valore così come ad avere fiducia.
La fiducia si guadagna comunicando e dimostrando che si condividono gli stessi valori.
Noi otteniamo risultati migliori nelle culture dove abbiamo un buon fit e nei posti che riflettono i nostri valori.

Questo è ciò che i grandi leader hanno in comune: la capacità di trovare dei buoni fit per le loro organizzazioni, persone che credono nelle stesse cose.

“Non assumi sulla base delle abilità, assumi per attitudine. Puoi sempre insegnare le abilità.”

Le grandi aziende non assumono persone con competenze e le motivano, invece prendono persone già motivate e le ispirano. Le persone o sono motivate o non lo sono; senza qualcosa a cui ispirarsi si motiveranno ad un altro posto di lavoro.

“Le aziende medie danno ai loro dipendenti qualcosa su cui lavorare. Al contrario, le organizzazioni più innovative danno ai loro dipendenti qualcosa verso cui lavorare.”

Questa è la radice della passione: il sentimento di essere parte di qualcosa in cui credi, qualcosa più grande di te.
E il sentimento della fiducia – guarda un po’ – risiede sempre nel cervello limbico, proprio dove sta il perché.

Il punto di svolta

Vi è familiare questa rappresentazione? Riproduce la legge della diffusione delle innovazioni tecnologiche.

Legge della diffusione delle innovazioni tecnologiche

Questo modello ci dice che i primissimi a buttarsi a capofitto nelle novità sono gli innovator, seguiti dagli early adopters; successivamente arriva la massa (divisa fra early e late) e infine i laggard (= i ritardatari).

La teoria della Diffusione dell’Innovazione di Rogers è stata ulteriormente “perfezionata” da Moore, che ha evidenziato come ci sia una sorta di “baratro” fra innovatori/early adopters e la massa dei consumatori: conquistare i primi è basilare per evangelizzare la massa e quindi diffondere i nuovi prodotti/servizi presentati sul mercato.

Secondo Simon Sinek innovators e early adopters fanno affidamento sulla loro intuizione; early and late majority hanno un approccio più pratico e razionale.
I laggard invece non sono mai fedeli e spesso soppesano le loro scelte dando grande importanza al prezzo.

Per la legge della diffusione la early majority non può essere raggiunta prima di avere penetrato circa il 16% del mercato. Questo è un segmento che non proverà una novità prima che sia sperimentata da altri.
Una volta raggiunta quella penetrazione quell’idea diventa un movimento e la crescita è esponenziale e automatica.

Ma per quale motivo per Sinek è così importante questo modello? Perché è convinto che per attrarre quel famoso primo 16% sia necessario lavorare sul WHY.
Quando inizi con il perché le persone con il tuo stesso credo sono attratte per le loro personali ragioni. Sono coloro che condividono i tuoi valori – e non la qualità del prodotto – che produrranno il punto di svolta.

Di conseguenza il ruolo delle aziende in questo processo è essere cristalline sul perché fanno ciò che fanno e nel mostrare come il prodotto faccia avanzare la loro causa.

Il magico incontro di Why e How

I leader (tipi-WHY) sono i portatori del perché mentre i tipi-HOW sono responsabili di far accadere le cose; i primi hanno un’immagine chiara della destinazione, i secondi trovano la strada per arrivare lì.
Una destinazione senza una strada da percorrere porta all’inefficienza e all’insuccesso.
In tutti i casi in cui un leader carismatico ha raggiunto qualcosa di significativo c’era sempre alle spalle una persona o un piccolo gruppo che ha saputo prendere quella visione e renderla reale.

E’ la partnership tra la visione del futuro e il talento di far accadere le cose che rende un’organizzazione grande: l’incontro tra il WHY e l’HOW, tra il visionario e il costruttore.

Quando il perché è chiaro tutti possono prendere decisioni accurate in azienda. Abbiamo parlato a lungo di allineamento quando abbiamo trattato il tema della Core Strategic Vision. E il vantaggio è proprio questo: il perché offre un filtro alle decisioni.

Questo è il motivo per cui anche quando un’azienda cresce velocemente e comincia a sperimentare il successo, il lavoro del CEO è personificare il perché ed evitare che quest’ultimo cominci a diluirsi.

Vi lascio con una riflessione sulla differenza tra soldi e valore, un tema che mi sta particolarmente a cuore e che ho toccato in diversi post quando ho parlato di un’idea condivisa di valore e di valore per gli stakeholder

“Molte organizzazioni oggi usano metriche chiarissime per tracciare il progresso e la crescita, di solito attraverso i soldi, il fatturato. Sfortunatamente abbiamo misurazioni molto povere che assicurano che il perché rimanga chiaro.

I soldi sono una misura perfettamente legittima dei beni venduti o dei servizi ma non corrispondono a un chiaro calcolo del valore. Solo perché qualcuno fa un sacco di soldi non implica che sta offrendo un sacco di valore.

Il valore è una sensazione, non un calcolo. È percezione.”

Riferimenti

Simon oltre ad essere un instancabile ottimista è anche un instancabile realizzatore.
Sul suo sito potete trovare moltissime risorse tra cui i suoi libri e moltissimi corsi (a proposito, qui parlo proprio di quello dedicato a Start with Why).

Se poi volete approfondire ulteriormente tutti i contenuti di “Start with Why” vi suggerisco di guardare i video che ha girato durante il lockdown in occasione dei 10 anni dalla pubblicazione della prima edizione.
Questo Book Club virtuale con l’autore è stata una perla di bellezza in questo tempo sospeso. Qui trovate le varie puntate:

Parte 1 – A world that doesn’t Start with WHY

Parte 2 – An alternative perspective

Parte 3 – Leaders Need a Following

Parte 4 – How to Rally those who believe

Parte 5 – The Biggest Challenge in Success

Parte 6 – Discover WHY

Visione e missione: che differenza c’è?

Ultimo approfondimento sulla visione e poi giuro che la smetto di ammorbarvi sul tema…
Che volete farci? Avevo bisogno di fare chiarezza nella mia testa e come spesso succede per farlo scrivo…

Abbiamo parlato nelle scorse settimane della visione strategica dell’azienda e di come questa informi la strategia di prodotto. Adesso non mi resta che concludere il ragionamento chiarendo le differenze tra “visione” e “missione”.
Noto spesso una certa confusione tra i due concetti per cui li riprendo entrambi qui.

La visione

Su questo punto non dovremmo avere più dubbi se avete letto i post precedenti: la “visione” – o vision – è ciò che guida l’attività imprenditoriale. E’ il sogno ambizioso di ciò che l’azienda vuole diventare, una proiezione nel futuro che indica al business la direzione da intraprendere.
Racconta la meta finale assumendo la prospettiva fittizia di chi l’ha già raggiunta.

La vision definisce gli obiettivi principali di lungo periodo, si basa sui valori dell’impresa e definisce il ruolo dell’azienda nel più ampio contesto economico e sociale.

La visione permette di capire perché l’azienda fa ciò che fa e risponde essenzialmente a queste domande:

  1. Qual è lo scopo dell’azienda?
  2. Quale problema sta cercando di risolvere per un bene superiore?
  3. Come cambierà il mondo in futuro per l’azione di questa azienda?
  4. Qual è lo scenario che vuole realizzare?

Di norma questa idea è espressa in un’unica frase – il cosiddetto “vision statement” – che riassume l’ambiente in cui l’azienda opera, gli obiettivi principali, i valori aziendali e lo scenario futuro.

Un’esempio? Ecco la visione di Illy:
«Vogliamo essere, nel mondo, punti di riferimento della cultura e dell’eccellenza del caffè. Un’azienda innovativa che propone i migliori prodotti e luoghi di consumo e che, grazie a ciò, cresce e diventa leader dell’alta gamma».

Il vision statement è un documento vivente che guida l’azienda verso la sua crescita futura. Aiuta a prendere decisioni coerenti con i suoi valori e obiettivi, a motivare le persone, ad attrarre talenti, indirizza l’innovazione nella giusta direzione e fa conoscere meglio il brand ai pubblici di riferimento. Scusate se è poco…

A chi ritiene che questo artefatto sia solo “filosofia” rispondo che è purtroppo facilissimo in qualsiasi organizzazione impantanarsi nella gestione del day-by-day e perdere di vista lo scopo.
La visione, come una stella polare, riporta sulla giusta rotta.

La missione

La missione definisce cosa fa l’azienda e perché.
Rappresenta il fine ultimo dell’impresa, la sua ragion d’essere: spiega perché l’azienda esiste ed il senso della sua presenza nel mercato.
E’ centrata solitamente su un elemento distintivo, in grado di differenziarla da tutti gli altri player e quindi dai competitor.

La mission è lo scopo dell’attività, è come la vision si traduce nel presente. Dà un senso alle azioni attuali da intraprendere.
La missione agisce nel presente e guida tutte le decisioni strategiche, aiutando l’impresa a ottenere la proiezione futura desiderata e stabilendo le modalità per raggiungere i risultati prestabiliti.
Se dovessimo rappresentarla graficamente la collocheremmo sotto la visione e al di sopra degli obiettivi di business o di marketing e comunicazione.

A differenza della vision, la mission ha una forte connotazione operativa; è più concreta e orientata all’azione.
Le domande a cui risponde sono queste:

  1. Chi siamo?
  2. Qual è il nostro target?
  3. Cosa deve creare concretamente il brand per raggiungere la meta?
  4. Con quali mezzi?
  5. Cosa ci differenzia dagli altri?
  6. Quali sono gli obiettivi a breve termine?

Il mission statement è una dichiarazione orientata all’azione perché enuncia lo scopo dell’organizzazione nel servire il proprio pubblico.

Riprendiamo l’esempio di Illy anche in questo caso:
«Deliziare gli amanti della qualità della vita nel mondo con il miglior caffè che la natura possa dare, esaltato dalle migliori tecnologie e dalla bellezza».

I vantaggi di creare un mission statement sono simili a quanto già visto per la vision: permette di focalizzarsi su cosa è realmente importante e di tenerlo a mente nel lavoro di tutti i giorni, crea allineamento e aggrega le persone intorno a un proposito comune, dà forma alla cultura aziendale.

Visione e missione: differenze

Spero che adesso le differenze tra le due risultino più evidenti.
Pur essendo concetti diversi interagiscono tra loro e sono entrambi fondamentali per la gestione degli obiettivi.

Credits: thebranddesigner.com

In sintesi: la vision agisce sul futuro dal momento che disegna una previsione e racconta ciò che l’azienda vuole diventare; la missione agisce sul presente, anche se ha una connotazione “atemporale“, e si focalizza su ciò che l’azienda vuole ottenere.

La Vision è COSA vuole ottenere o essere il brand, a cosa aspira.
La Mission è COME il brand vuole realizzare la vision attraverso azioni concrete.

Ecco come Disney descrive entrambe.
Visione: Rendere felici le persone.
Missione: Essere l’azienda produttrice di divertimento più grande del mondo, mantenere la quota di mercato attraverso l’innovazione e la creazione di esperienze di divertimento.

Vedete come i due aspetti sono complementari? Per realizzare la visione si procede per progetti, che di volta in volta vengono guidati da obiettivi chiari, identificabili, misurabili, raggiungibili e controllabili informati dalla missione.

10 esempi di visione e missione

IKEA

Vision: Offrire una vita quotidiana migliore a molte persone.
Mission: Offrire un vasto assortimento di articoli d’arredamento funzionali e di buon design a prezzi così vantaggiosi da permettere al maggior numero possibile di persone di acquistarli.

MICROSOFT

Vision: Offrire alle persone la possibilità di utilizzare qualsiasi dispositivo per realizzare ciò che desiderano sempre e dovunque.
Mission: Consentire a individui e aziende di tutto il mondo di realizzare appieno il proprio potenziale.

TESLA

Vision: Creare l’azienda di automobili più competitiva del ventunesimo secolo che spinga l’evoluzione del mondo ai veicoli elettrici.
Mission: Accelerare il passaggio all’energia sostenibile nel mondo.

AMAZON

Vision: Vogliamo essere l’azienda numero uno che mette al centro i propri clienti, i quali possono trovare e scoprire qualsiasi cosa vogliano comprare.
Mission: Lottiamo per offrire ai nostri clienti il minor prezzo possibile, la miglior selezione e la massima convenienza.

GOOGLE

Vision: Fornire accesso alle informazioni mondiali con un clic.
Mission: Organizzare le informazioni del mondo e renderle universalmente accessibili e utili.

TED

Vision: Crediamo appassionatamente nel potere delle idee di cambiare atteggiamenti, vite e, in definitiva, il mondo.
Mission: Diffondere idee.

FERRARI

Vision: Ferrari, l’Eccellenza Italiana che fa sognare il mondo.
Mission: Costruiamo Auto, simbolo di Eccellenza Italiana nel mondo, per vincere su strada e nelle competizioni. Oggetti unici che rinnovano il mito del Cavallino Rampante e generano un “Mondo di Sogni ed Emozioni”.

CISCO

Vision: Cambiare il modo in cui lavoriamo, viviamo, giochiamo e impariamo.
Mission: Modellare il futuro di internet creando valore senza precedenti e opportunità per i nostri clienti, impiegati, investitore e nel nostro ecosistema di partner.

LINKEDIN

Vision: Creare opportunità economiche per ogni membro della forza lavoro globale.
Mission: Connettere i professionisti nel mondo per renderli più produttivi e di successo.

WALMART

Vision: Essere LA destinazione per i clienti per risparmiare denaro, indipendentemente da come vogliano fare acquisti.
Mission: Far risparmiare i soldi alle persone così che possano vivere meglio.

Non vi basta? Volete altri esempi di mission statement? Ecco, qui ne trovate più di una ventina di brand famosi.

Strumenti pratici

Come sempre vi lascio con la segnalazione di qualche strumento che può tornarvi utile se decidete di cimentarvi in questa attività:

  1. per approfondire ulteriormente l’argomento un capitolo del libro “Management principles” dal titolo “Developing Mission, Vision, and Values” (in inglese)
  2. uno schema per guidarvi nella compilazione di vision e mission a cura di Mitre
  3. un canvas realizzato da Strategizer per la creazione della missione

Infine, un piccolo suggerimento: creare vision e mission non è un lavoro che potete pensare di fare “in solitaria”; richiede tempo ed attenta riflessione, anche perché si suppone che l’output non cambi nel tempo.
Per questo è importante arrivare a dichiarazioni che siano il frutto di una prospettiva condivisa. Avete bisogno di lavorare con tutta l’organizzazione. Buon lavoro allora!

Perché investire nella strategia di prodotto

La scorsa settimana ho parlato di visione strategica, di cosa sia e quanto sia rilevante per l’allineamento di tutte le iniziative in azienda rifacendomi al framework della Core Strategic Vision.
Oggi voglio invece approfondire un elemento su cui la visione strategica aziendale ha un impatto determinante: la strategia di prodotto.
Su questo argomento ci viene in aiuto Roman Pichler con i suggerimenti contenuti nel volume “Strategize” pubblicato nel 2016.

Visione e strategia di prodotto

Cosa indica il termine “strategia”?
Un piano d’azione per raggiungere un obiettivo a lungo termine.
Pianificare il successo di un prodotto comporta secondo l’autore due aspetti:

  1. trovare la giusta strategia di prodotto
  2. decidere come implementarla.

Nel primo ambito i due elementi chiave sono la visione e la strategia di prodotto; in fase di esecuzione la product roadmap e il product backlog (di cui abbiamo parlato qui).

La visione è la ragione ultima per creare il prodotto e deve essere coerente con la Core Strategic Vision dell’azienda. Descrive il cambiamento positivo che il prodotto porta e risponde alla domanda “perché questo prodotto esiste?”.

La strategia di prodotto descrive come l’obiettivo a lungo termine è raggiunto: include la value proposition del prodotto, il posizionamento di mercato, le principali caratteristiche e gli obiettivi di business. Indica insomma come la vision viene realizzata.

La product roadmap mostra come la strategia di prodotto viene eseguita definendo le principali release con specifica di date, obiettivi e funzionalità.
Infine il backlog contiene tutti i dettagli necessari per sviluppare il prodotto come indicato dalla roadmap con epiche, user stories e altri requisiti.

Se volete qualche dettaglio operativo su come derivare il backlog di prodotto dalla product vision vi consiglio di utilizzare la vision board.

Gli elementi della strategia di prodotto

La strategia di prodotto guarda alla “big picture”, non ai dettagli.
Il piano di alto livello che aiuta a realizzare l’obiettivo finale deve spiegare a chi è destinato il prodotto è perché le persone vogliono acquistarlo e utilizzarlo; che cos’è il prodotto e in che cosa è differente dagli altri; quali sono gli obiettivi di business e perché per l’azienda ha senso investire in esso.

Gli elementi della strategia di prodotto sono quindi 3:

  1. il mercato e i suoi bisogni
  2. gli obiettivi di business
  3. le funzionalità chiave e gli aspetti differenzianti.

Il mercato descrive il target e gli utilizzatori del prodotto, le persone che hanno maggiore probabilità di acquistarlo e usarlo; i bisogni comprendono i problemi che il prodotto risolve o il principale beneficio che produce.
Abbiamo parlato a lungo di questi aspetti in relazione alle Personas se ricordate.

Il business goal definisce come il prodotto genererà valore per l’azienda. Anche su questo aspetto ci siamo già soffermati in passato parlando di come possiamo definire più dettagliatamente il valore.
Nella maggior parte di casi si parla di generare ricavi, ma un prodotto potrebbe produrre valore anche supportando la vendita di altri prodotti o servizi, riducendo i costi o facendo aumentare il valore del marchio. A seconda dell’obiettivo sceglieremo il corretto KPI per misurare il valore generato dal prodotto.

Le key features sono quegli aspetti del prodotto cruciali nel creare valore per i clienti e gli utilizzatori, le funzionalità che lo fanno scegliere dal pubblico al posto delle altre alternative di mercato.

La product strategy può cambiare?

Proviamo a contestualizzare quanto detto sinora.
Abbiamo detto che la vision è la ragione ultima per creare il prodotto e descrive il cambiamento in positivo che il prodotto vuole generare.
Pichler fa l’esempio di una app che aiuti le persone a diventare consapevoli di cosa, quando e quanto mangiano.

La vision in questo caso può consistere nell’aiutare le persone a fare una vita più salutare; la strategia è creare una app che monitori l’assunzione di cibo tramite alcuni device quali uno smartwatch, una banda fitness e una bilancia smart.

Intanto notate come una visione di questo tipo – aiutare le persone a fare una vita più salutare – abbia maggior potere di ispirare rispetto al semplice obiettivo di “perdere peso” (una visione efficace deve essere grande!).
L’altro aspetto fondamentale è questo: la vision non cambia nel tempo, ma la product strategy può cambiare.

Tornando all’esempio di prima se la app non si rivela lo strumento giusto per aiutare le persone a fare una vita più salutare si possono provare altre strade per raggiungere l’obiettivo: scrivere un libro, creare una community di influencer, ecc.

Quando la vision manca…

Abbiamo più volte ribadito che la strategia di business deve dirigere quella di prodotto e che la company vision influenza la visione del prodotto.
L’autore di “Strategize” è proprio diretto quando scrive:

“Se il tuo business non ha una strategia generale o se non ne sei consapevole, rimanda la formulazione di una strategia di prodotto fino a quando la business strategy non è disponibile.
A meno che tu lavori per una start-up, in qual caso il business e la strategia di prodotto è molto probabile che siano identici”.

L’autore ci suggerisce anche un possibile espediente quando si verifica una situazione di questo tipo. L’idea è di mettere insieme i principali stakeholder, fare formulare loro prima individualmente la vision del prodotto e poi condividerla nel gruppo.
Si tratta di un esercizio molto potente che consente di guardare cosa hanno in comune le visioni di ciascuno e di creare una strategia di ampio respiro, condivisa e di ispirazione.

Sono più chiari adesso i benefici di una strategia di prodotto?
La finalità è massimizzare le chance di successo del prodotto stesso.

La strategia è il nodo chiave tra la visione in alto e l’esecuzione in basso: indica la direzione a cui puntare in linea con la vision aziendale più generale e allo stesso tempo indirizza il processo di discovery permettendo di scoprire i giusti dettagli di prodotto.
E poi, cari Product Owner, deve ispirare voi e le persone che lavorano con voi!
Deve avere la capacità di coinvolgere e farvi venire la voglia di rimboccarvi le maniche.
Un po’ come dice Pichler che va dritto al punto ed è sempre per me di grande ispirazione :

“Life is too short to work on products
you don’t believe in”.