Tra i vari interventi interessanti che sono stati presentati all’Italian Agile Days 2013 di Reggio Emilia (29 e 30 novembre) uno mi ha particolarmente colpita.
E’ stato l’ottimo speech di Andrea Provaglio intitolato “Dreaming“.
Non capita tutti i giorni di sentire il proprio lavoro paragonato alla dimensione del “sogno“.
Secondo l’autore i cicli di iterazione possono essere interpretati alla luce di un modello che contiene la dimensione del sogno (l’intento, la vision, il backlog stesso), dell’azione (la produzione, le competenze) e dell’ordine (i ruoli, le funzioni, le cerimonie).
Due, in particolare, sono le osservazioni che mi hanno fatto riflettere:
- la dimensione del sogno è una dimensione fluida, dove tutto è ancora possibile. Eppure troppo spesso i nostri backlog (che si iscrivono nella dimensione del sogno) rivelano una scarsa capacità di envisioning già in fase iniziale di progettazione
- Quale percentuale di sogni e di bisogni contiene il vostro backlog?
Una certa quantità di bisogni, di defect fixing è del tutto naturale in un prodotto, ma qual è la soglia critica oltre la quale il sogno – ciò che porta reale valore all’utente finale – rischia di essere soffocato dagli obblighi e dalle necessità immediate?
Per non rischiare che i frammenti di sogno solidi che realizziamo ad ogni iterazione si rivelino irreali o – peggio – inutili, vi invito a farvi ispirare…