Pensare e testare il prodotto – intervento all’Agile Experience Conference

Recentemente ho preso parte all’Agile Experience Conference organizzata dagli amici di Agile for Italy. Si tratta di incontri live caratterizzati da un taglio pratico e dalla formula intervento iniziale più intervista da parte dei peer.
Giovedì 18 febbraio ho parlato di come “Pensare e testare il prodotto” in compagnia di Roberto Lunazzi, Lorenzo Cassulo e Deborah Ghisolfi.
Abbiamo approfondito quali tecniche usare per creare un prodotto amato dai nostri clienti, quali metriche e quali difficoltà si incontrano.

Qui trovate la registrazione:

Ed ecco a voi una traccia del mio intervento.

Le precondizioni di un buon progetto

Dobbiamo fare una premessa prima di affrontare il momento della discovery di prodotto.
E’ necessario fare un setting quando affrontate progetti di questo tipo per comprendere:

  • chi saranno gli interlocutori (il cliente finale, l’acquirente, lo sponsor in azienda, il responsabile della decisioni finale e chi può influenzare il progetto).
    E’ fondamentale riuscire a mappare tutti questi attori per partire con il piede giusto;
  • qual è esattamente l’obiettivo.
    Quando si fanno attività di questo tipo c’è sempre un’aspettativa da parte dell’azienda, che siano obiettivi di ricavi, quote di mercato piuttosto o volumi di vendita.
    È opportuno fare tante domande prima di iniziare e capire bene quali sono le regole del gioco perché gli obiettivi si possono portare a casa in molti modi e noi dobbiamo capire quali sono i trade-off percorribili.

Prima di tutto vi voglio proporre una distinzione tra prodotti totalmente nuovi e prodotti esistenti che devono essere fatti evolvere, ottimizzati, ecc.
Perché questo? Perché nei due casi abbiamo a disposizione strumenti diversi.

Creare prodotti, ma di che tipo?

Nuovi prodotti

Stiamo parlando di una situazione in cui non abbiamo dati a disposizione di prima mano.
Il prodotto non è presente in azienda; stiamo creando qualcosa di nuovo con cui non ci siamo ancora confrontati.

Cosa faccio di solito io?

Analisi

Faccio un’analisi: cerco gli stessi prodotti o soluzioni simili sul mercato e li studio (se posso li utilizzo direttamente, altrimenti cerco qualcuno che ne abbia esperienza, cerco materiale online, help o video, commenti, ratings).
Queste sono tutte informazioni utili per cominciare a farmi un’idea di questa tipologia di prodotti:
– come sono fatti
– che caratteristiche hanno
– quali sono i loro punti di forza
– eventuali punti deboli.

Personas

L’altro passo che faccio immediatamente è andare a capire chi sarà il mio pubblico.
Dedico tempo alla costruzione delle personas primarie che coincidono con i miei utilizzatori.
Si dice che i PO sono la voce del cliente in azienda ma se questa voce non la ascoltiamo mai dal vivo non stiamo facendo il nostro lavoro, ci stiamo perdendo una grande opportunità.

Con le personas voglio capire quale sarà il mio segmento di pubblico, non solo da un punto di vista socio-demografico.
Qui ho bisogno di scavare in profondità:
– che tipo di bisogni ha?
– quali preoccupazioni?
– cosa vuole ottenere?
– cosa è importante per queste persone?
– che cosa li motiva e li ispira?

Devo riuscire a costruire un profilo a tutto tondo per potermi mettere nei loro panni e verificare che il nuovo prodotto risponda alle sue necessità.

Impact Mapping

Negli anni uno strumento che mi è venuto molto in aiuto nella creazione di nuovi prodotti è l’impact mapping.
E’ una tecnica di pianificazione strategica che ci aiuta a costruire la mappa mentale del progetto:
– qual è esattamente l’obiettivo che vogliamo ottenere
– quali sono gli attori in gioco (e qui tornano in gioco le personas ma non solo)
– quali sono gli impatti che vogliamo produrre ovvero i cambiamenti nel comportamento degli attori
– quali attività (ovvero funzionalità o caratteristiche del prodotto potrebbero aiutarci ad ottenerli).

Per costruire questa mappa si fanno sessioni collaborative, più persone con diversi ruoli e competenze. Maggiore è la varietà e meglio è.

Sessioni collaborative di discovery

Come dico sempre il prodotto è un gioco di squadra, non è qualcosa che fate chiusi da soli dentro il vostro ufficio. Avete bisogno di un confronto continuo nella fase di discovery.

Ecco perché consiglio di sfruttare il più possibile per la creazione di nuovi prodotti le sessioni collaborative di co-creazione: facciamo brainstorming, ad esempio lift-off di progetto o – se ne avete la possibilità – potete proporre degli innovation days o degli hackathon dove diversi team cross-funzionali elaborano idee, le migliori vengono votate e si può arrivare a generare un prototipo dell’idea.

Tutti questi eventi hanno un enorme vantaggio perché portano le persone a bordo, fanno comprendere la sfida e consentono di generare tantissime idee così da selezionare le migliori.

Migliorare prodotti esistenti

Dati ed esperienze di prima mano

Qui possiamo utilizzare tutto quello che abbiamo detto prima ma abbiamo altre frecce al nostro arco. Esistono già degli utenti del nostro prodotto, abbiamo dati di acquisto e di utilizzo.
Sfruttiamo al massimo questi mezzi!
Andiamo a parlare con acquirenti e utilizzatori, intervistiamoli (i dati quantitativi non vi bastano per capire i fenomeni, dovete capire il perché), guardiamo gli analytics, dati di vendita e utilizzo, le registrazioni di sessioni utente, le domande che arrivano all’assistenza clienti o vengono fatte ai commerciali, sondaggi, analisi della customer journey.

Io di solito parto da interviste interne all’azienda per farmi un’idea dei problemi principali, monitoro l’utilizzo e poi vado a fare interviste qualitative.

Interviste JBTD

Potete utilizzare il framework JBTD con cui cercate di capire a quale scopo serve il prodotto o il servizio, sia da un punto di vista più funzionale (è il cosiddetto lavoro primario), sia da un punto di vista emotivo e sociale (come il prodotto fa sentire il cliente, come viene percepito dagli altri).
Perché sono importanti? Perché se non capiamo sulla base di che cosa un utente sceglie il nostro prodotto, quali sono i suoi parametri principali o creiamo una soluzione che non vuole nessuno (e magari questo problema non l’avete con un restyling o un replatforming) o riempiamo il prodotto di funzionalità inutili che non ne aumentano il valore, bensì lo diminuiscono.

Utilizzando anche solo alcuni di questi strumenti avrete raccolto una marea di informazioni su cosa funziona e cosa no, avrete moltissimi spunti su cosa aggredire per primo e avrete generato un backlog di attività.

Pronti per lo sviluppo? No, testiamo l’idea di business

A me piace l’idea di testare l’idea di business (non stiamo parlando di testare il prodotto finito); stiamo parlando di compiere un giro completo prima ancora di partire con un singola riga di codice.
E’ un approccio che è diventato sempre più mainstream negli ultimi anni. Da Lean Startup in avanti è conosciutissimo.

Experiment Map

Qui ci vengono in aiuto una serie di strumenti: ad esempio potete utilizzare un semplicissimo canvas, quello della experiment map. Identificate quali sono le assunzioni più rischiose che stanno dietro alla vostra soluzione, chiarite il risultato che vorreste ottenere e poi costruite un esperimento (il più semplice e meno costoso possibile) per verificare la vostra idea.
Non serve avere il prodotto finito, basta abbozzarlo!

Minimum Viable Product

Ci rifacciamo al concetto di MVP, Minimum Viable Product, una delle idee più bistrattate e meno comprese.
Quando parlo di MVP mi viene sempre in mente l’esempio di Zappos che nel 1999 ha testato l’assunzione più rischiosa che stava dietro alla sua idea di business con un concierge MVP.
Tenete conto che l’e-commerce non era il fenomeno che è adesso. Il founder doveva capire se le persone sarebbero state disposte a comprare qualcosa online – le scarpe – senza poterlo provare.
Ha costruito un negozio finto, un front-end vetrina senza che ci fossero tutti i processi dietro. Ogni volta che qualcuno cliccava sul pulsante “Compra” andava fisicamente a comprare il paio di scarpe in negozio.

Design Sprint

Negli anni gli strumenti sono diventati sempre più sofisticati: pensate al design sprint inventato da Google Venture. In 5 giorni riducete i rischi del lancio sul mercato di un nuovo prodotto o servizio. Partite dalla definizione del problema, fate brainstorming delle possibili soluzioni, scegliete la più promettente, costruite un prototipo e lo validate con potenziali utenti.
Questo non vi fa solo risparmiare tempo e denaro, vi fa risparmiare la creazione di waste.

Conclusioni

In sintesi abbiamo tanti strumenti a disposizione.
Non esiste lo strumento perfetto o un unico strumento per un problema.
Provateli, testateli e cercate quello che più vi risuona, con cui vi trovate bene.

Ma la cosa importante non sono gli strumenti in sé.
Quando penso alla creazione di un nuovo prodotto per me è determinante l’approccio che è fatto di questi ingredienti principali: ascolto, lavoro di squadra, confronto con la realtà (uscite dagli uffici!), utilizzo di dati e sapere di non sapere.
Tutto è ancora da imparare!

Checklist di domande per interviste Jobs To Be Done

Bene, siamo arrivati all’ultimo post dedicato al framework JBTD.
Abbiamo parlato delle caratteristiche di questa tecnica, dei 3 tipi di lavoro e dei punti chiave nei colloqui con i clienti; oggi vediamo una lista di domande che possono essere utilizzate durante le interviste Job To Be Done.

Ricordate quando abbiamo detto che l’aspetto più importante durante i colloqui è ricostruire la reale esperienza d’acquisto e non farla razionalizzare al cliente?
Ecco, per questo motivo partiamo con il rievocare insieme al nostro intervistato il momento in cui è avvenuto l’acquisto e poi da quello retrocediamo lungo la timeline che ha portato alla decisione finale.

Ricostruire l’esperienza d’acquisto

Domande su tempo e luogo:

Quando hai comprato il prodotto X (cellulare, automobile, PC, lavastoviglie, ecc.)?
Era un weekend quando l’hai acquistato?
Che giorno esattamente?
Avevi pianificato di fare l’acquisto quel weekend / quel giorno?

Hai comprato in negozio o online?

A seconda della risposta possiamo andare ancora più in profondità.
Ad esempio se il cliente ci ha detto di avere comprato online comodamente da casa approfondiamo:

Dov’eri esattamente? In quale stanza?
Che ora era del giorno?
La tv era spenta o accesa?
C’era della musica di sottofondo?

Stiamo rievocando il contesto in cui è avvenuto l’acquisto…

Eri da solo o con qualcuno?
Con chi esattamente?
Cosa ne pensava la persona che era con te?

La fase di ricerca e confronto

Abbiamo un quadro del momento dell’acquisto; adesso facciamo qualche passo indietro e torniamo all’inizio del processo, ovvero a quando è stato percepito il bisogno per la prima volta. Stiamo iniziando a creare la timeline e dobbiamo capire quando è iniziato il processo.

Quando è stata la prima volta che hai cominciato a guardare questo prodotto e a informarti?
Avevi già un prodotto dello stesso tipo?
Ti ricordi esattamente che momento era della giornata?

Anche in questo caso cerchiamo di ricostruire esattamente la situazione e le circostanze in cui si è manifestato il bisogno la prima volta, poi approfondiamo come è stata condotta la fase esplorativa.

Come hai cercato informazioni sul prodotto?
Quanti siti hai guardato?
Sei andato a vederlo in negozio?
La tua famiglia era con te?
Come ti sentivi quando hai chiesto informazioni sul prodotto?
Avevi in mente un modello in particolare?
Quando hai cominciato a considerare l’aspetto del prodotto?
Quanto è durata in tutto la tua ricerca?

… è importante indagare chi e che cosa può avere influenzato il cliente nella scelta d’acquisto.

C’è qualcuno dei tuoi amici o conoscenti che ti ha fatto provare il prodotto?Qualcuno che ti ha fatto vedere un modello in particolare?
Hai avuto qualche altra esperienza con quel prodotto?
Se sì, dov’eri quando è successo?

Le caratteristiche rilevanti del prodotto

Stiamo cercando di capire non solo il contesto in cui è avvenuta la scelta ma anche le qualità del prodotto che hanno portato il cliente alla decisione finale.
Queste, come dicevamo la volta scorsa, sono le feature decisive per i nostri utenti.
Se non le comprendiamo rischiamo di infarcire le nostre soluzioni di funzionalità inutili.

Che modello hai scelto?
Qual è il modello che avevi prima?
In quanto tempo hai deciso qual era il modello giusto?
Che cosa esattamente ti ha fatto decidere che era proprio quello il prodotto giusto per te?
Hai pensato a come sarebbe stata la tua vita con quel prodotto? Raccontami in che modo sarebbe cambiata…

Il momento della decisione

Infine andiamo alla ricerca dello aha moment.
Ritorniamo da dove siamo partiti – appena prima dell’acquisto – e chiudiamo il cerchio entrando nei dettagli di quando è avvenuta la decisione.

Cosa ti ha fatto decidere che era il momento giusto?
C’è stato un momento in cui sentivi di non avere più energia mentale?
Raccontami qual era la situazione in cui hai pensato “è ok”.
Quanto è passato da quel momento all’acquisto?
E’ stato un buon acquisto?

E’ tutto sul framework Jobs To Be Done. Passo e chiudo sul tema!
Se siete interessati potete mettere a confronto questo schema di intervista con quella per la costruzione delle personas.

Cosa ho imparato dalle interviste Jobs To Be Done

Nel corso delle ultime settimane ho esplorato il framework JBTD parlando di che cos’è e di quali tipi di lavori esistono. Oggi voglio raccontarvi cosa ho imparato dalle interviste Jobs To Be Done.
Non avendo praticato sino a poco tempo fa questa metodologia ho cercato in rete materiale audiovideo che mi potesse chiarire le idee (trovate i riferimenti alla fine del post).
In particolare ero interessata a capire come le interviste Jobs To Be Done si discostassero da quelle che utilizzo di solito per costruire le Personas.

In sintesi le prime sono conversazioni su come le persone comprano; delle seconde ho già parlato diffusamente in più occasioni (se vi siete persi questo approfondimento potete partire da qui). Riprenderò presto le differenze tra le due, ma per ora ho voluto estrarre i le caratteristiche essenziali delle interviste Jobs To Be Done:

  • l’oggetto del dialogo
  • la ricostruzione della storia con i suoi dettagli
  • l’esplorazione delle “forze” in gioco e delle dinamiche irrazionali
  • il momento della chiusura.

Acquisti non ricorrenti

Ho ascoltato 3 diverse interviste: una sull’acquisto di un materasso, una di un cellulare e una di una macchina.
Tutti gli oggetti in questione hanno in comune il fatto di non essere comprati tutti i giorni.
Gli intervistatori hanno più volte sottolineato che le interviste JTBD si focalizzano su acquisti non ricorrenti, che portano con sé un carico di emozione e di impegno (non solo dal punto di vista della spesa); insomma li definiremmo acquisti importanti.

Attenzione però: questa metodologia può essere usata anche per altri tipi di spesa (ricordate? Il professor Christensen l’aveva applicato al milkshake) ma gli acquisti “a basso coinvolgimento” richiedono un impegno molto maggiore per cogliere la reale motivazione per cui il cliente ha comprato ciò che ha comprato. In questo caso dovrete effettuare molte più interviste.

Altra nota importante: parliamo prevalentemente di acquisti perché questo è di solito il focus delle aziende, ma JBTD può essere applicato anche per altri tipi di scelta. Pensiamo ad esempio ad alcuni eventi altamente emozionali: la decisione di andare a convivere, di sposarsi o di cambiare vita.

Ricordate: lo scopo è sempre capire perché la persona ha scelto ciò che ha scelto e ha scartato le alternative.

L’importanza della timeline

Uno degli aspetti che mi ha più colpito è la ricostruzione / decostruzione del processo che porta all’acquisto.
Gli intervistatori esplorano con domande mirate le varie fasi che portano alla decisione finale:

  • il primo pensiero relativo al nuovo prodotto/servizio
  • quando è cominciata la fase di esplorazione delle alternative
  • se ci sono state influenze da parte di amici e conoscenti
  • quali aspetti sono stati rilevanti nella scelta
  • quando il focus si è spostato dall’oggetto al prezzo
  • il momento dell’acquisto vero e proprio
  • eventuali acquisti correlati al prodotto principale.

Tornano più volte sui momenti-chiave del processo perché ciò che vogliono ottenere è una chiara ricostruzione della timeline e delle cause che hanno determinato la scelta finale.

Timeline Jobs To Be Done – credits jasonevanish.com

Questi momenti-chiave sono paragonati a pezzi del “domino”, per sottolineare l’idea che tutti i passaggi sopra elencati concorrono a determinare l’effetto finale, ovvero l’acquisto di un determinato oggetto e non di un altro.

L’attenzione ai dettagli

Se ascolterete alcune delle interviste Jobs To Be Done sarete colpiti – come lo sono stata io – dalla quantità di domande di dettaglio che vengono poste agli intervistati.
E’ un fuoco di fila! Alcune vi potranno sembrare assurde…

“Quando hai comprato il telefono online eri con qualcuno?
Che giorno era della settimana?
Che momento del giorno era?
Dov’eri esattamente in casa? In quale stanza?
La TV era accesa o spenta?”

A prima vista il dettaglio della TV accesa o spenta può sembrare del tutto ininfluente sulle motivazioni di acquisto, ma ciò che l’intervistatore cerca di fare con questo approccio è una ricostruzione meticolosa del contesto (“set the scene” come dicono in inglese).
Uno dei principi che guidano queste interviste è che il contesto della scelta aggiunge valore alle osservazioni.

Rievocare i dettagli aiuta progressivamente il cliente a ricordare una serie di particolari, a tornare di nuovo in quello specifico momento, ad elaborare con più chiarezza i motivi che lo hanno indotto alla scelta e – non ultimo – a sentirsi a proprio agio (è pur sempre fondamentale nelle interviste costruire una zona di comfort).
Non è usuale infatti raccontare a qualcuno la propria storia d’acquisto e dedicare una 50ina di minuti all’argomento. Anche gli intervistati meno chiacchieroni si “sciolgono” e cominciano a raccontare particolari preziosi in questo lasso di tempo.

Ricostruire le forze in ballo

“L’arena della competizione è differente per l’azienda e per il consumatore. Noi dobbiamo guardarlo dalla loro prospettiva.” Questo è un principio fondante del framework JTBD.

I consumatori fanno continuamente trade-off per giungere ad una scelta; noi dobbiamo capire quali sono gli aspetti davvero rilevanti per loro, i cosiddetti “hiring and firing criteria”.
Infatti mentre le aziende sono concentrate a sviluppare un sacco di funzionalità intorno ai loro prodotti scopriamo durante le interviste che i clienti hanno in mente solo 2 o 3 aspetti determinanti per la scelta.
Se non comprendiamo questi ultimi rischiamo di inondare il prodotto di feature inutili e di ridurne il valore anziché aumentarlo.

Capire le cause ci consente di creare prodotti migliori.
Ecco perché – come nell’illustrazione sottostante – andiamo a ricostruire le forze che entrano in gioco al momento della scelta:

Source: jobstobedone.org

Due forze che spingono “verso”:

  • la situazione attuale, in cui il cliente percepisce un’insoddisfazione
  • la nuova soluzione, il prodotto che promette di risolvere gli “struggling moments”

Due forze che vanno “contro”:

  • l’’abitudine al vecchio prodotto
  • l’ansia per la nuova soluzione

Al termine dell’intervista dobbiamo essere in grado di descrivere con chiarezza tutte le 4 dinamiche in ballo.

Esplorare l’irrazionale

Oggetto delle interviste JBTD sono i clienti che hanno comprato recentemente un prodotto.
I dialoghi non sono focalizzati sul comportamento d’acquisto in generale, bensì su uno specifico acquisto.

Per quale motivo?
Non vogliamo che il cliente ci racconti cosa fa tutte le volte che acquista una casa, uno smartphone o un auto. La questione posta in questa maniera induce il consumatore a razionalizzare il momento dell’acquisto. Non è quello che ci interessa!
Noi vogliamo invece comprendere il comportamento irrazionale che i clienti applicano con consistenza.

Per questo motivo non gli chiediamo “parlami di quando acquisti il prodotto X”, bensì “parlami dell’ultima volta che hai acquistato il prodotto X”.
Vogliamo scoprire ciò che ha realmente fatto, non quello che dice di avere fatto. E questa è una distinzione determinante per far emergere le reali motivazioni.

Quando dire basta

Quando ha senso fermarsi? Come si fa a capire quando è il momento di chiudere l’intervista?
Ci saranno situazioni in cui sarà chiaro a entrambi – all’intervistato e all’intervistatore – di essere arrivati alla fine; c’è quel senso di chiusura, la sensazione di “essersi detti tutto”.
Ma ci saranno anche casi in cui avrete la sensazione di non avere avuto risposta a tutte le vostre domande.
Non importa. Avete coperto l’80% di ciò che volevate sapere? (… Pareto torna sempre). Allora potete considerarvi soddisfatti e magari esplorare le parti mancanti con nuove persone.

Un suggerimento che mi è piaciuto molto è questo: saprete di avere terminato quando sentirete di poter fare come foste i registi della storia, ovvero essere in grado di dirigere gli attori sulla scena senza incertezze perché ne avete compreso a pieno lo spirito.
Quindi siete pronti per il primo ciak?
Se le avete sperimentate sono curiosa di conoscere che idea vi siete fatti!

Riferimenti