I migliori libri per Product Owner: Start with Why

Faccio subito una premessa: io adoro Simon Sinek! Mi piace moltissimo tutto quello che fa, scrive e racconta quindi può darsi che questo post vi appaia un po’ schierato ma lo dichiaro dall’inizio ;)

Simon è un autore di una serie di libri di successo in tema di leadership nonché uno speaker di livello internazionale. Qui lo potete vedere in un paio di apparizioni ai TED Talk.

“Start with Why: How Great Leaders Inspire Everyone to Take Action” è il suo primo libro (oggi ne ha ben 5 all’attivo) pubblicato nel 2009. E’ un volume a cui sono molto legata, uno di quelli sottolineati fitto fitto. Lo trovo tutt’oggi un saggio illuminante e ho deciso di sintetizzarlo qui perché – come direbbe Sinek – condividiamo gli stessi valori.

Start with Why – Simon Sinek

Quali valori? Quelli racchiusi nella citazione che vi accoglie sul suo sito:

“Immaginiamo un mondo in cui la stragrande maggioranza delle persone si sveglia ogni giorno ispirata, si sente al sicuro ovunque si trovi e finisce la giornata soddisfatta dal lavoro che svolge”

A me sembra un’ottima prospettiva da cui partire…

Manipolare o ispirare

La maggior parte delle aziende non sa spiegare perché i loro clienti sono loro clienti.
La maggior parte delle aziende prende decisioni sulla base di assunzioni incomplete o sbagliate su ciò che guida il loro business.

“Ci sono solo due modi di influenzare il comportamento umano: manipolando o ispirando”

Quando le aziende non sanno perché i loro clienti sono loro clienti tendono a fare leva su un numero enorme di manipolazioni per ottenere ciò di cui hanno bisogno… perché la manipolazione funziona.
Ma di quali manipolazioni stiamo parlando esattamente? Eccovi qualche esempio: prezzi inferiori, promozioni (spesso non sostenibili nel tempo), paura (la cosiddetta fomo), aspirazioni, pressione dei pari, novità, ecc.

Il punto è che nessuna manipolazione crea clienti fedeli; col tempo sono espedienti che costano sempre di più e ciò che si ottiene è solo un effetto di breve periodo.
Se avete a che fare con un mercato “a bassa fedeltà” (penso al turismo ad esempio), la tecnica del bastone e della carota (ovvero le manipolazioni) sono il modo più veloce per ottenere il comportamento desiderato, ma quando diventano la norma le organizzazioni diventano via via sempre più deboli.

Il 2008 ed il crollo della Lehman Brothers sono un esempio di come un’assunzione imperfetta sia stata portata avanti per troppo tempo… a lungo termine il collasso è l’unica logica conclusione quando le manipolazioni sono lo standard.
Esiste però un’alternativa alla manipolazione, l’ispirazione…

Ispirare con il Golden Circle

Sinek invita le aziende e gli individui ad ispirare azioni invece di manipolare persone.
Sì, ma come? Utilizzando il Golden Circle, ovvero la sequenza WHY, HOW, WHAT.

Scrive l’autore di Start with Why: “ogni azienda sul pianeta conosce cosa fa (what), alcune persone e aziende sanno come fanno cosa fanno (how), pochissime aziende e persone sono in grado di articolare perché fanno quello che fanno (why).”
Vi ricordate? Abbiamo già toccato in passato il tema “purpose” quando abbiamo parlato della differenza tra output e outcome e della visione strategica.

Ma perché semplicemente il fatto di invertire questa sequenza ottiene un risultato così differente? Perché le persone non comprano cosa fai, ma perché lo fai.
Le aziende cercano di venderci cosa fanno, noi compriamo il perché.
Cosa fanno è un fattore esterno, perché lo fanno no.
E questa è la ragione per cui percepiamo una comunicazione di questo tipo – che va dall’interno verso l’esterno – come autentica.

Solo le aziende che agiscono come commodities si svegliano la mattina pensando a come differenziarsi.
Le aziende con un chiaro senso del perché non lo fanno mai; non devono convincere nessuno del loro valore. Semplicemente attraggono persone con il loro stesso credo solo per il fatto che il loro perché è chiaro.

Se ci pensate è intuitivo: ci fidiamo delle persone che condividono i nostri valori; siamo attirati dai leader e dalle organizzazioni che sono brave a comunicare in cosa credono.

The Golden Circle

Quando parliamo dall’interno all’esterno del Golden circle, parliamo direttamente alla parte del nostro cervello responsabile delle decisioni, al sistema limbico che controlla anche le nostre emozioni.

Se un’azienda non ha un chiaro senso del perché non è possibile riconoscersi in essa; l’unica cosa percepibile è il cosa quell’azienda fa.
WHY è un credo, HOW sono le azioni che fai per realizzare ciò in cui credi, WHAT è il risultato di quelle azioni.

“E’ una falsa assunzione che la differenziazione avviene a livello di how e what, accade a livello di why e how. La loyalty viene dalla capacità di ispirare.”

Far emergere la fiducia

Non si può convincere qualcuno del proprio valore così come ad avere fiducia.
La fiducia si guadagna comunicando e dimostrando che si condividono gli stessi valori.
Noi otteniamo risultati migliori nelle culture dove abbiamo un buon fit e nei posti che riflettono i nostri valori.

Questo è ciò che i grandi leader hanno in comune: la capacità di trovare dei buoni fit per le loro organizzazioni, persone che credono nelle stesse cose.

“Non assumi sulla base delle abilità, assumi per attitudine. Puoi sempre insegnare le abilità.”

Le grandi aziende non assumono persone con competenze e le motivano, invece prendono persone già motivate e le ispirano. Le persone o sono motivate o non lo sono; senza qualcosa a cui ispirarsi si motiveranno ad un altro posto di lavoro.

“Le aziende medie danno ai loro dipendenti qualcosa su cui lavorare. Al contrario, le organizzazioni più innovative danno ai loro dipendenti qualcosa verso cui lavorare.”

Questa è la radice della passione: il sentimento di essere parte di qualcosa in cui credi, qualcosa più grande di te.
E il sentimento della fiducia – guarda un po’ – risiede sempre nel cervello limbico, proprio dove sta il perché.

Il punto di svolta

Vi è familiare questa rappresentazione? Riproduce la legge della diffusione delle innovazioni tecnologiche.

Legge della diffusione delle innovazioni tecnologiche

Questo modello ci dice che i primissimi a buttarsi a capofitto nelle novità sono gli innovator, seguiti dagli early adopters; successivamente arriva la massa (divisa fra early e late) e infine i laggard (= i ritardatari).

La teoria della Diffusione dell’Innovazione di Rogers è stata ulteriormente “perfezionata” da Moore, che ha evidenziato come ci sia una sorta di “baratro” fra innovatori/early adopters e la massa dei consumatori: conquistare i primi è basilare per evangelizzare la massa e quindi diffondere i nuovi prodotti/servizi presentati sul mercato.

Secondo Simon Sinek innovators e early adopters fanno affidamento sulla loro intuizione; early and late majority hanno un approccio più pratico e razionale.
I laggard invece non sono mai fedeli e spesso soppesano le loro scelte dando grande importanza al prezzo.

Per la legge della diffusione la early majority non può essere raggiunta prima di avere penetrato circa il 16% del mercato. Questo è un segmento che non proverà una novità prima che sia sperimentata da altri.
Una volta raggiunta quella penetrazione quell’idea diventa un movimento e la crescita è esponenziale e automatica.

Ma per quale motivo per Sinek è così importante questo modello? Perché è convinto che per attrarre quel famoso primo 16% sia necessario lavorare sul WHY.
Quando inizi con il perché le persone con il tuo stesso credo sono attratte per le loro personali ragioni. Sono coloro che condividono i tuoi valori – e non la qualità del prodotto – che produrranno il punto di svolta.

Di conseguenza il ruolo delle aziende in questo processo è essere cristalline sul perché fanno ciò che fanno e nel mostrare come il prodotto faccia avanzare la loro causa.

Il magico incontro di Why e How

I leader (tipi-WHY) sono i portatori del perché mentre i tipi-HOW sono responsabili di far accadere le cose; i primi hanno un’immagine chiara della destinazione, i secondi trovano la strada per arrivare lì.
Una destinazione senza una strada da percorrere porta all’inefficienza e all’insuccesso.
In tutti i casi in cui un leader carismatico ha raggiunto qualcosa di significativo c’era sempre alle spalle una persona o un piccolo gruppo che ha saputo prendere quella visione e renderla reale.

E’ la partnership tra la visione del futuro e il talento di far accadere le cose che rende un’organizzazione grande: l’incontro tra il WHY e l’HOW, tra il visionario e il costruttore.

Quando il perché è chiaro tutti possono prendere decisioni accurate in azienda. Abbiamo parlato a lungo di allineamento quando abbiamo trattato il tema della Core Strategic Vision. E il vantaggio è proprio questo: il perché offre un filtro alle decisioni.

Questo è il motivo per cui anche quando un’azienda cresce velocemente e comincia a sperimentare il successo, il lavoro del CEO è personificare il perché ed evitare che quest’ultimo cominci a diluirsi.

Vi lascio con una riflessione sulla differenza tra soldi e valore, un tema che mi sta particolarmente a cuore e che ho toccato in diversi post quando ho parlato di un’idea condivisa di valore e di valore per gli stakeholder

“Molte organizzazioni oggi usano metriche chiarissime per tracciare il progresso e la crescita, di solito attraverso i soldi, il fatturato. Sfortunatamente abbiamo misurazioni molto povere che assicurano che il perché rimanga chiaro.

I soldi sono una misura perfettamente legittima dei beni venduti o dei servizi ma non corrispondono a un chiaro calcolo del valore. Solo perché qualcuno fa un sacco di soldi non implica che sta offrendo un sacco di valore.

Il valore è una sensazione, non un calcolo. È percezione.”

Riferimenti

Simon oltre ad essere un instancabile ottimista è anche un instancabile realizzatore.
Sul suo sito potete trovare moltissime risorse tra cui i suoi libri e moltissimi corsi (a proposito, qui parlo proprio di quello dedicato a Start with Why).

Se poi volete approfondire ulteriormente tutti i contenuti di “Start with Why” vi suggerisco di guardare i video che ha girato durante il lockdown in occasione dei 10 anni dalla pubblicazione della prima edizione.
Questo Book Club virtuale con l’autore è stata una perla di bellezza in questo tempo sospeso. Qui trovate le varie puntate:

Parte 1 – A world that doesn’t Start with WHY

Parte 2 – An alternative perspective

Parte 3 – Leaders Need a Following

Parte 4 – How to Rally those who believe

Parte 5 – The Biggest Challenge in Success

Parte 6 – Discover WHY

Cosa ho imparato dalle interviste Jobs To Be Done

Nel corso delle ultime settimane ho esplorato il framework JBTD parlando di che cos’è e di quali tipi di lavori esistono. Oggi voglio raccontarvi cosa ho imparato dalle interviste Jobs To Be Done.
Non avendo praticato sino a poco tempo fa questa metodologia ho cercato in rete materiale audiovideo che mi potesse chiarire le idee (trovate i riferimenti alla fine del post).
In particolare ero interessata a capire come le interviste Jobs To Be Done si discostassero da quelle che utilizzo di solito per costruire le Personas.

In sintesi le prime sono conversazioni su come le persone comprano; delle seconde ho già parlato diffusamente in più occasioni (se vi siete persi questo approfondimento potete partire da qui). Riprenderò presto le differenze tra le due, ma per ora ho voluto estrarre i le caratteristiche essenziali delle interviste Jobs To Be Done:

  • l’oggetto del dialogo
  • la ricostruzione della storia con i suoi dettagli
  • l’esplorazione delle “forze” in gioco e delle dinamiche irrazionali
  • il momento della chiusura.

Acquisti non ricorrenti

Ho ascoltato 3 diverse interviste: una sull’acquisto di un materasso, una di un cellulare e una di una macchina.
Tutti gli oggetti in questione hanno in comune il fatto di non essere comprati tutti i giorni.
Gli intervistatori hanno più volte sottolineato che le interviste JTBD si focalizzano su acquisti non ricorrenti, che portano con sé un carico di emozione e di impegno (non solo dal punto di vista della spesa); insomma li definiremmo acquisti importanti.

Attenzione però: questa metodologia può essere usata anche per altri tipi di spesa (ricordate? Il professor Christensen l’aveva applicato al milkshake) ma gli acquisti “a basso coinvolgimento” richiedono un impegno molto maggiore per cogliere la reale motivazione per cui il cliente ha comprato ciò che ha comprato. In questo caso dovrete effettuare molte più interviste.

Altra nota importante: parliamo prevalentemente di acquisti perché questo è di solito il focus delle aziende, ma JBTD può essere applicato anche per altri tipi di scelta. Pensiamo ad esempio ad alcuni eventi altamente emozionali: la decisione di andare a convivere, di sposarsi o di cambiare vita.

Ricordate: lo scopo è sempre capire perché la persona ha scelto ciò che ha scelto e ha scartato le alternative.

L’importanza della timeline

Uno degli aspetti che mi ha più colpito è la ricostruzione / decostruzione del processo che porta all’acquisto.
Gli intervistatori esplorano con domande mirate le varie fasi che portano alla decisione finale:

  • il primo pensiero relativo al nuovo prodotto/servizio
  • quando è cominciata la fase di esplorazione delle alternative
  • se ci sono state influenze da parte di amici e conoscenti
  • quali aspetti sono stati rilevanti nella scelta
  • quando il focus si è spostato dall’oggetto al prezzo
  • il momento dell’acquisto vero e proprio
  • eventuali acquisti correlati al prodotto principale.

Tornano più volte sui momenti-chiave del processo perché ciò che vogliono ottenere è una chiara ricostruzione della timeline e delle cause che hanno determinato la scelta finale.

Timeline Jobs To Be Done – credits jasonevanish.com

Questi momenti-chiave sono paragonati a pezzi del “domino”, per sottolineare l’idea che tutti i passaggi sopra elencati concorrono a determinare l’effetto finale, ovvero l’acquisto di un determinato oggetto e non di un altro.

L’attenzione ai dettagli

Se ascolterete alcune delle interviste Jobs To Be Done sarete colpiti – come lo sono stata io – dalla quantità di domande di dettaglio che vengono poste agli intervistati.
E’ un fuoco di fila! Alcune vi potranno sembrare assurde…

“Quando hai comprato il telefono online eri con qualcuno?
Che giorno era della settimana?
Che momento del giorno era?
Dov’eri esattamente in casa? In quale stanza?
La TV era accesa o spenta?”

A prima vista il dettaglio della TV accesa o spenta può sembrare del tutto ininfluente sulle motivazioni di acquisto, ma ciò che l’intervistatore cerca di fare con questo approccio è una ricostruzione meticolosa del contesto (“set the scene” come dicono in inglese).
Uno dei principi che guidano queste interviste è che il contesto della scelta aggiunge valore alle osservazioni.

Rievocare i dettagli aiuta progressivamente il cliente a ricordare una serie di particolari, a tornare di nuovo in quello specifico momento, ad elaborare con più chiarezza i motivi che lo hanno indotto alla scelta e – non ultimo – a sentirsi a proprio agio (è pur sempre fondamentale nelle interviste costruire una zona di comfort).
Non è usuale infatti raccontare a qualcuno la propria storia d’acquisto e dedicare una 50ina di minuti all’argomento. Anche gli intervistati meno chiacchieroni si “sciolgono” e cominciano a raccontare particolari preziosi in questo lasso di tempo.

Ricostruire le forze in ballo

“L’arena della competizione è differente per l’azienda e per il consumatore. Noi dobbiamo guardarlo dalla loro prospettiva.” Questo è un principio fondante del framework JTBD.

I consumatori fanno continuamente trade-off per giungere ad una scelta; noi dobbiamo capire quali sono gli aspetti davvero rilevanti per loro, i cosiddetti “hiring and firing criteria”.
Infatti mentre le aziende sono concentrate a sviluppare un sacco di funzionalità intorno ai loro prodotti scopriamo durante le interviste che i clienti hanno in mente solo 2 o 3 aspetti determinanti per la scelta.
Se non comprendiamo questi ultimi rischiamo di inondare il prodotto di feature inutili e di ridurne il valore anziché aumentarlo.

Capire le cause ci consente di creare prodotti migliori.
Ecco perché – come nell’illustrazione sottostante – andiamo a ricostruire le forze che entrano in gioco al momento della scelta:

Source: jobstobedone.org

Due forze che spingono “verso”:

  • la situazione attuale, in cui il cliente percepisce un’insoddisfazione
  • la nuova soluzione, il prodotto che promette di risolvere gli “struggling moments”

Due forze che vanno “contro”:

  • l’’abitudine al vecchio prodotto
  • l’ansia per la nuova soluzione

Al termine dell’intervista dobbiamo essere in grado di descrivere con chiarezza tutte le 4 dinamiche in ballo.

Esplorare l’irrazionale

Oggetto delle interviste JBTD sono i clienti che hanno comprato recentemente un prodotto.
I dialoghi non sono focalizzati sul comportamento d’acquisto in generale, bensì su uno specifico acquisto.

Per quale motivo?
Non vogliamo che il cliente ci racconti cosa fa tutte le volte che acquista una casa, uno smartphone o un auto. La questione posta in questa maniera induce il consumatore a razionalizzare il momento dell’acquisto. Non è quello che ci interessa!
Noi vogliamo invece comprendere il comportamento irrazionale che i clienti applicano con consistenza.

Per questo motivo non gli chiediamo “parlami di quando acquisti il prodotto X”, bensì “parlami dell’ultima volta che hai acquistato il prodotto X”.
Vogliamo scoprire ciò che ha realmente fatto, non quello che dice di avere fatto. E questa è una distinzione determinante per far emergere le reali motivazioni.

Quando dire basta

Quando ha senso fermarsi? Come si fa a capire quando è il momento di chiudere l’intervista?
Ci saranno situazioni in cui sarà chiaro a entrambi – all’intervistato e all’intervistatore – di essere arrivati alla fine; c’è quel senso di chiusura, la sensazione di “essersi detti tutto”.
Ma ci saranno anche casi in cui avrete la sensazione di non avere avuto risposta a tutte le vostre domande.
Non importa. Avete coperto l’80% di ciò che volevate sapere? (… Pareto torna sempre). Allora potete considerarvi soddisfatti e magari esplorare le parti mancanti con nuove persone.

Un suggerimento che mi è piaciuto molto è questo: saprete di avere terminato quando sentirete di poter fare come foste i registi della storia, ovvero essere in grado di dirigere gli attori sulla scena senza incertezze perché ne avete compreso a pieno lo spirito.
Quindi siete pronti per il primo ciak?
Se le avete sperimentate sono curiosa di conoscere che idea vi siete fatti!

Riferimenti

I 3 tipi di Jobs To Be Done

Un paio di settimane fa abbiamo parlato della teoria dei Jobs To Be Done introdotta dal professor Christensen in un paper pubblicato sulla Harvard Business Review nel 2005.
Oggi ci focalizziamo sui 3 tipi di Jobs To Be Done che esistono nel framework.

I tipi di clienti

Consentitemi una premessa prima di entrare nel vivo dell’argomento.
Per poter correttamente definire i lavori da fare abbiamo necessità di comprendere le esigenze dei nostri clienti, cosa vogliono esattamente ottenere e – ancora prima – chi sono.
Può sembrare banale ma non lo è, soprattutto nei contesti B2B.

Nel framework JTBD si parla di 3 categorie di clienti serviti dalle aziende:

  • l’esecutore del lavoro: la persona che utilizza il prodotto per portare a termine un determinato lavoro;
  • il team di supporto del prodotto: è costituito dai diversi gruppi di persone che supportano il prodotto durante il suo ciclo di vita a vario titolo. Sono ad esempio le persone che installano, fanno manutenzione o aggiornano il prodotto; coloro che intervengono nella catena del consumo;
  • l’acquirente: la persona responsabile della decisione d’acquisto.

In un contesto B2C è molto frequente che il consumatore sia anche l’acquirente del prodotto mentre nelle aziende B2B l’esecutore del lavoro è ad esempio un professionista, il team di supporto per il ciclo di vita del prodotto può essere composto da un’equipe e l’acquirente è in genere una persona che fa parte dell’amministrazione.

Per utilizzare il framework in maniera proficua è fondamentale identificare i diversi tipi di clienti e i relativi contesti prima di approfondire le dimensioni del lavoro.

I 3 tipi di Jobs To Be Done

Abbiamo capito come si classificano i clienti, passiamo ora al lavoro da fare.
Secondo l’ideatore del framework ci sono tre dimensioni principali di cui dobbiamo tenere conto.

I 3 tipi di Jobs To Be Done

La dimensione funzionale

Questo è l’aspetto più evidente del “lavoro”.
Risponde alla domanda “quale compito vuole realizzare il cliente con il mio prodotto o servizio?”.
Il job funzionale è strettamente legato ai compiti da svolgere e agli obiettivi da raggiungere.

Prendiamo l’esempio del trapano che ricorre spesso negli aneddoti su JBTD.
Il trapano consente al cliente di fare fori nella parete della dimensione desiderata. Il risultato che la persona vuole ottenere è disporre i propri libri in bella vista su una mensola in salotto.
L’atto di praticare i fori nella parete è l’aspetto funzionale del lavoro.

Il lavoro funzionale è il punto focale attorno al quale si definisce un mercato e la ragione per cui esiste un business.
Nel framework JBTD l’obiettivo primario di qualsiasi prodotto è quello di aiutare a svolgere il lavoro funzionale in modo migliore e più economico rispetto alle soluzioni alternative.

Tenete presente che possono esistere anche lavori correlati: sono attività funzionali aggiuntive che l’esecutore del lavoro esegue prima, durante o dopo il lavoro principale. Ricordate l’idea che il cliente preferisce un unico prodotto per completare il lavoro?
Ecco, i lavori correlati sono di frequente poco considerati e le aziende in grado di soddisfare anche questi aspetti rendono più preziosi i loro prodotti.

La dimensione emotiva

Quando un cliente utilizza un prodotto per svolgere un lavoro funzionale spesso desidera sentirsi in un certo modo ed essere percepito sotto una certa luce dagli altri.

Attenzione! A detta di molti questa è la parte più delicata del framework JBTD.
Qui è necessario capire quali emozioni prova il cliente in relazione al lavoro da fare (prima, durante e dopo l’esecuzione) e come desidera essere percepito.

Nell’esempio del trapano potrebbe essere la paura di sbagliare, di non eseguire il lavoro correttamente o di rovinare il muro (non ridete, a me è capitato).
Cosa potrebbe essere rassicurante in questa situazione? Magari comunicare che il trapano in questione è uno strumento sicuro e che previene di commettere sbagli anche quando il cliente è alle prime armi.

La dimensione sociale

Infine, c’è un aspetto che ha a che fare con il nostro essere umani, ovvero animali sociali.
Il job sociale si riferisce a come il cliente vuole apparire agli occhi degli altri e che tipo di status vuole ottenere.

Le nostre decisioni sono influenzate più o meno consapevolmente dal parere di chi ci circonda e dalle conseguenze che le nostre azioni potrebbero avere su di loro.
Ad esempio montare correttamente la mensola significa dimostrare che sono una persona autonoma e capace nel fai-da-te, in grado di prendersi cura della propria casa.

Per mappare le 3 dimensioni dei lavori e il risultato desiderato potete utilizzare un canvas Jobs To Be Done.

Jobs To Be Done canvas – credits Laurent Bouty

Identificare il Job To Be Done più rilevante

I clienti possono assegnare a una delle 3 dimensioni un valore maggiore rispetto alle altre e non è detto che si tratti sempre del job funzionale. Pensate ad esempio all’acquisto di un rossetto o di un qualsiasi prodotto di bellezza…

Anche quando per noi la scelta sembra non avere alcun senso, per il cliente ce l’ha.
Vuole raggiungere un risultato e gli occorre un prodotto per farlo; si riterrà soddisfatto solo quando avrà appagato il suo bisogno.

La comprensione dei diversi tipi di lavoro e del loro peso relativo consente alle aziende di creare proposte di valore con componenti sia funzionali che emozionali e di realizzare una comunicazione di prodotto più incisiva.

L’importanza del job e la soddisfazione

A questo punto vi potreste chiedere: una volta individuate le 3 dimensioni dei jobs to be done e la priorità tra funzionale, emotivo e sociale possiamo iniziare a concettualizzare le soluzioni?

In realtà ci sono due aspetti che potremmo considerare pre-condizioni e che è fondamentale sondare prima di arrivare allo sviluppo vero e proprio.
Dobbiamo rispondere a due domande:

  1. il cliente è davvero interessato a risolvere il problema che vediamo?
  2. quanto è soddisfatto con le attuali alternative presenti sul mercato?

Se il consumatore non pensa che sia un problema per cui vale la pena risolvere o modificare il proprio comportamento – come capita ad esempio con acquisti ricorrenti di scarsa importanza e basso importo – è meglio rivedere il proprio focus.
Allo stesso modo se un altro prodotto consente già di svolgere il lavoro con successo sarà più difficile acquisire quote di mercato con una nuova soluzione ed è consigliabile valutare a priori i margini di profitto ottenibili in queste condizioni.

In sintesi per determinare l’opportunità di business devi sapere quanto è importante per il tuo cliente il job to be done e determinare il grado di soddisfazione rispetto alle offerte attuali.

“Prendi queste due cose – importanza e soddisfazione – e se le persone non sono soddisfatte, allora hai una grande opportunità”.

Risorse Jobs To Be Done

Vi lascio con qualche spunto di riflessione sul tema e un template alternativo per raccogliere le vostre osservazioni.

E ora buon lavoro… da fare!